Non osò tenere gli stessi modi in Agrigento, città più popolosa a gran pezza di Segesta e di Tindari: ma fece di notte a’ suoi sgherri sfondare le porte del tempio d’Esculapio e trarne la statua d’Apollo, nel cui basso lembo era scritto a piccoli caratteri d’argento il nome di Mirone che l’aveva fatta. Anch’essa era stata restituita da Scipione. Inorriditi gli Agrigentini del sacrilegio, posero gente a guardia degli altri tempî. Nè guari andò che nel cuor della notte una mano di scherani, sotto la scorta del ricantato Timarchide, venne ad assalire il tempio d’Ercole, per trarne la statua del semideo, opera dello stesso Mirone, di straordinaria bellezza; se non che un po’ logora era nel mento, pe’ tanti baci dei devoti. Fugati i custodi, le porte del tempio furono rotte e si diede mano ad atterrare la statua. Ma questo era tanto salda, che nè per isforzi di spingerla su con vette, nè per lo trarla di forza con funi, poterono darle uno scrollo, In questo, tutto il popolo, avvertito da’ custodi, accorse ed a furia di sassi volse in fuga l’empia masnada.
Lo stesso fecero gli Assorini, per impedire che fosse portato via il simulacro del fiume Crisa, che adoravano in un tempio posto sulla via per ad Enna. Gli venne solo fatto trarre dal tempio della gran madre in Engio le loriche, le celate, le grandi urne di rame intagliate all’uso di Corinto, che in gran copia erano state ivi riposte da Scipione. Fece introdurre di furto i suoi servi nel penetrale del tempio di Cerere in Catana, ove a nissun uomo era dato l’ingresso, e quindi rapì l’antico simulacro della Dea.
| |
Agrigento Segesta Tindari Esculapio Apollo Mirone Scipione Agrigentini Timarchide Ercole Mirone Assorini Crisa Enna Engio Corinto Scipione Cerere Catana Dea
|