I pezzi d’avolio erano commessi e fermati da grossi chiodi d’oro. Verre tutto svelse e lasciò nude e disadorne le imposte. E fin portò via alcune aste di frassino ch’erano colà riposte, le quali, dall’incredibile grandezza in fuori, nulla avevano di singolare. Trasse dal pritaneo la bellissima statua di Saffo, opera di Stilenione; la statua d’Apollo dal tempio di Esculapio; quella di Aristeo dal tempio di Bacco; e dal tempio di Giove imperatore la statua del nume, di cui solo due altre simili altrove si vedevano; una che Flaminio trasse dalla Macedonia e pose nel Campidoglio; l’altra era in Ponto, e fra tante guerre fu sempre rispettata. Oltracciò, mense delfiche di marmo, orci di bronzo bellissimi ed una gran quantità di vasi corintî, trasse dagli altri tempî.
A tanta rapacità di costui andavano del pari la sfrenatezza de’costumi e la crudeltà. Le città, che dovevano somministrare le galee per l’armata, erano tenute a provvedere la mercede e il vitto dei galeotti e de’ soldati, che sopra vi erano. Verre, che tutto volea tornasse in suo pro, ordinò che le città dessero a lui il danaro; avrebb’egli pensato a pagare e nutrire le genti. In ogni galea poi metteva pochissimi rematori e soldati, ai quali dava scarse mercedi ed anche più scarso mangiare. L’armata così mal provveduta ebbe una volta ad uscire dal porto di Siracusa, per far mostra di purgare il mare dai pirati che l’infestavano. Era d’estate, nel qual tempo il pretore si faceva drizzare sul lido un padiglione di tela fina.
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