Ivi invisibile a tutti passava sbevazzando colle sue amasie la calda stagione. Per godersi con più libertà la Nice, bellissima donna siracusana, diede il supremo comando dell’armata a Cleomene siciliano, marito di lei; cosa affatto vietata.
Venne fuori il nuovo ammiraglio sulla quadrireme centuripina: venivano appresso le galee di Segesta, di Tindari, d’Erbita, d’Eraclea, d’Apollonia, d’Alonzio. Tanto mal provveduta di rematori quell’armata era, che giunse al capo Pachino dopo cinque giorni di navigazione. Preso terra, mentre Cleomene simboleggiando il pretore, gozzovigliava; la gente delle altre navi, non avendo altro pasto, si diede a mangiare cerfaglioni, che in copia crescevano in quella spiaggia. In questo, giunge l’avviso, che nel prossimo porto d’Odissea (98) erano giunte alcune barche di pirati. Cleomene, la cui nave era la più grande e la sola ben’armata e ben provveduta di gente, in vece di avvantaggiarsi di ciò per combattere, si giovò della maggior velocità di essa per fuggire, dato ordine alle altre di seguirlo. Gli altri capitani con pochi marinai, mal pagati e digiuni, ebbero a far lo stesso. E tanto scarso era in queste il numero dei rematori, che, non favorendole il vento, l’Alontina e l’Apolloniese, ch’erano in coda delle altre, furono prese. Filarco, che comandava la prima, fu posto in catene e poi ricattato dai Locresi; Antropino, capitano dell’altra, fu ucciso. Cleomene il primo e gli altri appresso appresso afferrarono il lido di Peloro e si salvarono in terra, abbandonate le navi, che furono incese da’ pirati, che sopraggiunsero.
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