Una ne avrebbe diviso agli amici e patroni; coll’altra avrebbe comprati i giudici. Nè andava errato ne’ suoi conti. Era giunta al sommo in que’ dì la venalità e la corruzione dei patrizî romani. Tutti coloro, che da Roma erano mandati al governo delle provincie, erano soliti smungerle, per trarne i mezzi di sostenere lo smodato lusso della capitale e di comprare nuove cariche. E pel gran cambiamento introdotto da Silla di trasferire il dritto de’ giudizî dall’ordine equestre ai patrizî, costoro stessi sedendo in senato, dovevano ne’ casi particolari giudicare de’ delitti, ch’erano comuni a tutti. Oltracciò le più potenti famiglie, come quelle degli Scipioni e de’ Metelli, apertamente favorivano Verre; ed era suo speciale amico e difensore Ortensio, che allora era detto il re del foro ed era stato eletto console per l’anno appresso.
V. - I Siciliani chiesero il patrocinio di Cicerone; ed egli, il quale non nobile, nè nato era in Roma, onde nulla avea da sperare dai patrizî, tutto dal favore del popolo, volentieri accettò l’incarico d’accusare uno di quell’ordine e rinfacciare a tutti gli stessi o simili delitti. Verre ed i suoi, per levar di mezzo uno accusatore, della cui abilità assai temevano, misero in campo un Q. Cecilio, il quale era stato questore in Sicilia, mentre Verre v’era pretore, e perciò si diceva meglio informato dei costui delitti; per lo che pretendeva che a lui più presto che a M. Tullio toccasse accusarlo. In tale contesa ebbe luogo nell’anno 683 di Roma (71 a. C.), la prima delle Verrine, che Cicerone chiamò divinazione; perchè i giudici dovevano quasi indovinare, per conoscere d’essere il competitore un secreto amico di Verre, che diceva di volerlo accusare, acciò nel fatto non vi fosse accusa.
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