Superato quel punto, chiese Cicerone centodieci giorni di tempo, per venire in Sicilia e raccogliere le prove e i testimoni.
Concepirono allora Verre ed i suoi amici il disegno di portare il giudizio in lungo, tanto che scorsi i pochi mesi che restavano di quello anno, entrassero in carica i consoli eletti Ortensio e Metello, e colla loro autorità mandassero a vôto gli sforzi dell’accusatore.
Cicerone, venuto in Sicilia, vi fu in tutte le città accolto con grandi dimostrazioni d’onore, e da per tutto trovò in copia le prove che cercava. Solo in Messena incontrò villanie, a segno di negarglisi il pubblico ospizio. Venuto in Siracusa, come sapeva che quella città aveva unitamente a Messena mandato un pubblico messaggio in Roma per lodare Verre, si diresse ai Romani, che ivi erano in gran numero, per avere que’ lumi e quelle prove che cercava, senza curarsi di chiederne al senato, o ad altri di quei cittadini, che teneva venduti a Verre, come quei di Messena. Un Eracleo, quando men lo pensava, venne a trovarlo per parte di tutti i senatori, pregandolo a recarsi in senato, per discorrere, intorno alle cose, per le quali era venuto. L’andò; vi fu con grande onoranza accolto. Tutti cominciarono a dolersi, ch’egli in uno affare di tanto momento non si fosse ad essi diretto. Cicerone disse: che non poteva egli chiedere prove de’ delitti di Verre ad un senato, che aveva mandato in Roma un decreto di lode per lui; nè avrebbe potuto sperare d’essere accolto in un luogo, in cui si vedeva la statua di lui.
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