Tutti risposero essere stato quel decreto estorto dall’autorità del presente pretore; e quella statua opera di que’ pochi ch’erano stati a parte de’ furti di quel tristo, contro il volere de’ più. E di presente quel senato cancellò il decreto di lode, e prove autentiche diede a Cicerone dei furti e delle iniquità di Verre.
Dopo cinquanta giorni, in onta agli sforzi del pretore Metello e de’ questori, che fecero ogni loro possa, per frastornare le operazioni di lui, Cicerone fu di ritorno in Roma, carico di prove ed accompagnato da una gran tratta di testimoni e di legati delle città siciliane. Restava la più grave difficoltà a superare. Se avesse voluto tener dietro al modo ordinario di trattare le cause criminali, cioè di discutere ad uno ad uno i delitti, tolte le ferie, i giorni che restavano dell’anno non sarebbero stati sufficienti. In ciò erano fondate le speranze di Verre e di Ortensio. Ma Cicerone seppe deluderle. Nella prima sua orazione dichiarò che egli avrebbe proposta l’accusa di tutti i delitti in uno, presentate le prove, chiamati i testimoni, perchè Ortensio l’interrogasse e’ giudici potessero di presente decidere. Ortensio sopraffatto dalla novità del ripiego, e dalla moltiplicità delle prove e dei testimoni, abbandonò la difesa. Verre andò volontariamente in bando. Ma non però riportò del tutto il meritato gastigo. Non si parlò di restituzione delle cose involate; fu solo condannato a pagare ai Siciliani quaranta milioni di sesterzî, quanto Cicerone avea richiesto.
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