Un caso impensato porse loro finalmente la gretola di mettervi stabilmente il piede. Comandava le armi in Sicilia un Euffemio, greco di patria, nobile di nazione, rotto di costumi. Invaghito costui d’una nobile donzella monaca, fatto a suoi sgherri scalare il monastero, quindi la rapì ed a casa ne la menò. I fratelli di lei ebbero ricorso all’imperatore Michele il Balbo, il quale ordinò che Euffemio fosse preso e, mozzo le nari, condotto per le vie di Siracusa a pubblico esempio. Avutone lingua a tempo, Euffemio, avventato com’era, ribellò parte dell’esercito, venne alle mani col patrizio Fotino, che governava in Sicilia, lo ruppe, e nell’826 si fece acclamare imperatore. S’era a lui unito un Plata, venturiere italiano, al quale diede il governo di una parte dell’isola. Venuti non guari dopo nemici, ricorsero alle armi. Euffemio ebbe la peggio, e non avendo forze da ripigliare da se solo il perduto, corse a chiedere soccorso ai Saracini d’Affrica (101).
Regnava in quella provincia l’emir Ziadath Allah degli Aglabidi, ed avea sede in Cairvan. A lui si diresse Euffemio. Gli disse: esser lieve per lui l’acquisto di Sicilia; promise ajutarlo delle sue forze e delle sue dipendenze nell’isola; dimandava solo il dominio d’una parte di essa. L’emir chiamò i maggiorenti a consiglio.
L’impresa parve ardua a tutti. Alcuni proponevano di fare una delle solite incursioni in Sicilia, senza pensare a fermarvisi. Un Sahium ben Kaden dimandò quanto la Sicilia distasse dalla terra de’ Greci. Gli fu risposto che in un giorno potea andarvisi e venirne due ed anche tre volte.
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