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      Alla vista del pericolo di Siracusa, si sospese la fabbrica della chiesa; l’armata fu apprestata; il patrizio Adriano ne ebbe il comando. Ma costui venne a rannicchiarsi nel porto di Geraci nel Peloponneso, nè osò più venirne fuori.
      Intanto gl’infelici Siracusani, sulla speranza di quel soccorso, si difendevano con coraggio degno dei tempi più gloriosi di quella città. Se non vi ha esagerazione nella lettera del monaco Teodosio, vennero essi a tale di mangiare, non che le cuoja e le ossa trite, ma gli asini e’ cavalli, e fin si nutrivano di carni umane; nè i padri ebbero orrore ad addentar le carni dei figli (114). A nutrimento così malvagio tennero dietro malattie atroci, per cui i cittadini perivano a migliaja; ed a migliaja anche perivano ne’ giornalieri conflitti; chè gli assalitori non davan rispitto. Pure nè una voce si levò mai a proporre la resa; che anzi il lacrimevole spettacolo di tutti coloro, che correvano alla difesa delle bastite mezzo dirute e vi restavano o uccisi o mal conci, addoppiava nei pochi che sorvivevano l’alacrità di correre ove maggiore era il rischio. Finalmente, dopo dieci mesi di sforzi, venne fatto agli assalitori di mandar giù la torre principale e ’l muro da essa difeso; e quindi entrarono nel maggio dell’878. Grande fu la strage; anche più grande lo spoglio, I vasi sacri d’oro e d’argento della cattedrale pesarono cinquemila libre; e tutto il bottino fu calcolato un milione della moneta d’allora (115).
      Il vile Adriano, come seppe la caduta di Siracusa (116), levate le ancore, venne a Costantinopoli, e, temendo lo sdegno dell’imperatore, andò a chiudersi nel gran tempio.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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