Spintosi egli il primo fra le schiere nemiche, vi facea mirabili prove. La fortezza della sua armatura vani rendevano tutti i colpi contro di lui diretti. I suoi soldati, animati dalla voce e dall’esempio di lui, non eran da meno. Al tempo stesso i Romettesi, respinta la schiera, che li guardava, assalirono i Saracini dall’altro lato con tal’impeto, che questi, sopraffatti dal doppio attacco, cominciarono a vacillare. In tal punto Hasan gridò: Dio, se gli uomini m’abbandonano, tu mi salva. E in questo dire con una scelta schiera si mosse. Nulla potè resistere a quell’urto. Tutto l’esercito saracino riprese cuore. Ucciso il cavallo ad Emmanuele, vi restò morto anch’egli. In quel fortunoso momento mosse una violentissima tempesta propria della stagione. Pioggia e grandini venivano giù a ribocco accompagnate da frequenti lampi e da fulmini. L’esercito cristiano, scuorato dalla morte del generale, confuso dalla tempesta, incalzato da’ Saracini, indietreggiava verso una pianura ov’era una fossa ampia e profondissima. Ivi precipitavano a mano a mano i soldati. In poco d’ora quel baratro venne tanto colmo, che i cavalli saracini vi correvan sopra. Bastò la battaglia dall’alba fin dopo il merigio. Il resto del giorno e la seguente notte stettero i Saracini ad inseguire, prendere ed ammazzare coloro che scarmigliati fuggivano. Diecimila de’ Bizantini restarono sul campo, oltre il gran numero de’ prigionieri, fra’ quali furono l’altro generale Gorgia e il patrizio Niceta, eunuco, drungario dell’impero.
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