Dura era l’imposta della decima che in tempi più remoti si pagava in Sicilia; perchè duro esser doveva a tutti il vedersi togliere direttamente una parte del suo prodotto. Ma pure l’imposta era proporzionata alla ricchezza dell’agricoltore, il quale allora tanto più pagava quanto più produceva: ovechè sotto i Saracini tanto più pagava quanto più coltivava. E però era nella necessità di coltivare quanto meno poteva. E che tal funesto effetto seguiva difatti, possiamo argomentarlo dal numerosissimo armento dell’emir Jusuf. Se quattordicimila erano le sole giumente, quale che fosse stata la proporzione, con cui quell’emir regolava la sua pastorizia, sterminato esser doveva il numero di tutto il suo bestiame. Dunque o erano allora vastissimi tratti di terreno incolto, nei quali costui faceva pascere tanti animali, o egli solo imprendeva a coltivare la decima parte del suolo coltivabile in Sicilia. E in ogni caso ciò mostra che scarso era il numero degli agricoltori; e però poco profittevole l’agricoltura.
Questa considerazioni naturalmente ci menano a conchiudere che i Saracini, comechè molto avanti sentissero nelle scienze fisiche, digiuni erano delle politiche e morali discipline. E se per avventura erano loro venute lette le opere degli storici e filosofi greci, vôte di senso esser dovevano per essi. Gente, che si governava colla scimitarra, qual costrutto poteva trarre dalla lettura di Platone e di Plutarco? In ogni caso poi le cose finora dette provano che perniciosa è stata sempre alla Sicilia la dominazione degli stranieri, per colti che fossero stati (146).
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