E gli abitanti della Puglia e della Calabria, oppressi dai Greci, depauperati dalle continue incursioni de’ Saracini accolsero come liberatori quegli stranieri, che nemici sì mostravano e di questi e di quelli (155).
Come i Normanni valicarono il faro, vennero saccheggiando tutto il Paese soggetto a’ Greci e si ridussero in Puglia; ed avendo ragione di dolersi del principe di Salerno, il quale, per allontanarli, aveva fatto loro sperare grandi ricompense, se s’univano a’ Greci, a lui non tornarono, anzi presero consiglio d’insignorirsi pria di ogni altro di quello stato. Per avere un luogo di ricovero, edificarono il castello di Melfi ed ivi s’afforzarono; ned erano allora oltre a cinquecento. Colui che pel greco impero comandava in quelle parti, raccolta quella maggior gente che potè, s’avvicinò a Melfi, e mandò uno dei suoi ad intimare a’ Normanni o a sgombrare il paese, nel qual caso avrebbero avuto libero il passo, o prepararsi alla battaglia il domane. Un Ugone Tudeixfem, che de’ Normanni era, per far vedere a quel messo di non essere egli ed i suoi gente da schifar la battaglia, senza far motto, accostatosi al cavallo che bellissimo era, dell’araldo, gli diede tal pugno sulla testa che ne cadde morto, e con esso semivivo per la paura il cavaliere. Altri corsero a levar da terra il messo; un migliore cavallo gli regalarono; e, tratto il morto pe’ piedi, lo buttarono giù da un precipizio. Non fu mestieri di altra risposta. Il messo tornò al campo greco, riferì il fatto ai capitani, onde argomentassero l’estrema forza e ’l non comune ardire de’ Normanni; e quelli gli raccomandarono di non palesarlo ad alcuno, per non venir meno il coraggio de’ soldati.
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