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      Non però questi divenne più generoso verso di lui; intantochè fu ridotto a vivere dei ladronecci de’ suoi militi. «Ciò non diciamo» dice Malaterra «per suo disdoro; ma di ordine suo siam per iscrivere cose anche più vili e vituperevoli, acciò sia palese con quanto stento e fatica, dalla più obbietta miseria si elevò al colmo delle dovizie e degli onori (161).» Gran prova è questa della grandezza d’animo del conquistatore, nel volere che il suo storiografo registrasse tai fatti; e della veridicità ed esattezza di questo.
      Aveva una volta gran mestieri di cavalli; non aveva da comprarne; ne vide di belli in una casa di Melfi; nottetempo li rubò. Le sue angustie di ora in ora crescevano; nè potendo vincere l’ostinata avarizia del fratello Roberto, dal quale, in due mesi che fu al suo servizio, null’altro che un ronzino aveva avuto, staccatosene, venne a Scalea, e si diede a devastare il paese soggetto al conte. Un di que’ dì ebbe avviso da un Berver, che alcuni mercatanti erano per passare pressa Scalea, nell’andare da Amalfi a Melfi. Con otto compagni corse sulla strada, assalì que’ meschini, li spogliò di quanto avevano, li menò prigioni. Oltre la roba ed i cavalli loro, trasse da ciò molto danaro, ch’essi ebbero a pagare per ricattarsi. Con quel danaro ebbe altri mento militi; e con essi maggiori e più spesse incursioni cominciò a fare in tutta la Puglia nell’anno, che allora correva 1058; intantochè il conte Roberto, lasciato ogni pensiero della conquista di Calabria, riunì tutte le sue forze in Puglia contro di lui.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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