Questi, come fu preso, tanto disse, e dissero tanto gli uomini più assennati della città, che il popolo s’indusse a metterlo in carcere per serbarlo a più matura vendetta. I suoi capitani saputo il caso, non avendo altro mezzo di salvarlo, si diedero nelle mani di Rugiero, cui narrarono l’accaduto. La generosità estinse il cruccio del conte. Corse a Geraci; si mostrò irato più che mai contro il fratello; disse volerlo nelle sue mani, per vendicare i torti suoi; pregò; minacciò; l’ebbe. Libero Roberto, abbracciò il fratello, promise l’adempimento della pattuita ripartizione della Calabria. Un’incidente riaccese la guerra. I soldati del conte, saputa la prigionia del duca, ignari del seguito accordo, vennero fuori di Mileto, assalirono i due castelli, posti dal duca, l’espugnarono, ne demolirono uno, trassero prigioni tutti coloro, che v’erano di presidio. Al tempo stesso la duchessa, creduto morto il marito, fuggì a Tropea. Il duca bistorto in cuore, montò in bizza, dimenticò il segnalato beneficio del fratello, non volle più sentir parola di pace; comechè Rugiero, per togliere ogni ragione di querela, avesse rimandato liberi i prigioni e restituito i castelli dalla sua gente espugnati. Si tornò all’armi. Venne fatto a Rugiero soprapprendere il castello di Messiano; piazza fortissima, che apriva il varco a tutta la Calabria, la quale altronde inchinava alle parti del minor fratello. Fu forza a Roberto venire a patti. I due fratelli convennero in Val di Crati; e sur un ponte, che conservò il nome di Guiscardo, fu recata ad effetto la contrastata divisione della Calabria.
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