Nel 1068 s’inoltrò con numeroso stuolo sino a Misilmeri. Un grande esercito venne fuori da Palermo per attaccarlo. Il conte come vide i nemici a lui venire, messa la sua schiera in ordine di battaglia, sorridendo disse a’ suoi «Ecco una preda, che Dio ci manda; dividiamcela alla maniera apostolica.» Parole più da predone che da guerriero; ma nella battaglia, che tosto seguì, tutti si condussero da grandi guerrieri e non da predoni. I Saracini furono del tutto disfatti; immensa fu la strage; quanto si avevano venne in potere dei vincitori. Nel campo nemico trovarono i Normanni le stie con entro i colombi, che i Saracini addestravano a servir di corrieri; appeso al collo di essi una cartolina tinta di sangue, li misero in libertà. Tutto lo stormo volò a Palermo, e diede così notizia del funesto caso, prima che i fuggiaschi fossero giunti.
Mentre in Sicilia tali cose accadevano, il duca Roberto stava ad assediar Bari, città popolosa, ricca e fortissima, posta sul lido, che sola restava all’impero bizantino. Nè gli era venuto fatto d’averla, comechè da tre anni l’avesse stretta dalla terra e dal mare; perchè i Baresi opponevano gagliarda risistenza, confidati nel loro numero, nel forte sito della città, e nel soccorso che d’ora in ora aspettavano da Costantinopoli, ove avevano spedito un di loro a chiederne premurosamente. L’imperatore Romano Diogene aveva rimandato il messo, per avvisare i cittadini, che l’armata, carica, di soldati e di viveri, era per mettere alla vela; e però mettessero tutte le notti fani sopra le torri; perchè le navi non errassero il corso.
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