Il duca, visto le mura abbandonate, poggiatovi le scale, quindi entrò colla sua schiera in città e corse a rompere una delle porte, per la quale entrò il conte col suo esercito. Caduta così la città nuova, i Saracini, dopo avere inutilmente combattuto tutto il giorno, sul far della sera si ritirarono nella vecchia. Il domane alcuni dei maggiorenti vennero fuori a trattar della resa. Promettevano di rendere la città e pagare i tributi, con questo che non fossero molestati nell’esercizio della loro religione, e sicuri fossero i beni e le persone loro, A tal patto giuravano sul corano di tenersi indi in poi fedeli al nuovo governo. Avuta quella promessa, resero la città nel gennajo del 1072 (171).
La prima cura dei conquistatori, come vennero in possesso della città, fu quella di rimettere in onore la cristiana religione. Fu riposto nella sua sede l’arcivescovo, il quale avea avuto assegnata da’ Saracini la piccola chiesa di santa Ciriaca, fuori la città, ove, vecchio e timido com’era, teneva vivo per quanto poteva il culto cristiano. Il duomo, che era stato convertito in moschea, fu soprabenedetto, largamente dotato e provveduto di sacri arredi. Preso il duca Roberto della bellezza della città, la volle per se, lasciato al fratello quanto s’era fin’allora acquistato e quanto speravano d’acquistare.
X. - La gioja de’ fratelli per la presa della capitale fu avvelenata dalla notizia della morte del valoroso loro nipote Serlone. Era restato egli con una schiera in Cerami, per tenere in soggezione i Saracini di Castrogiovanni, uno de’ quali, Brahem di nome, aveva contratta seco amicizia, a segno che s’era dichiarato suo fratello adottivo come costumavano i Saracini quando volevano render sacra ed inviolabile l’amicizia.
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