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      Ingelosito il conte, gli ordinò di sbassare la torre e ridurla a casa. Quello arditamente si negò e, confidando in quei Greci che promettevano dargli mano, si preparò a difendersi. Il conte vi venne con buon nerbo di gente. I Geracesi spauriti non vollero pigliar la difesa d’Angelmaro. Questi, vistosi allora a mal partito, abbandonò la torre e fuggì (173).
      Più grave di quella d’Angelmaro fu al conte la sedizione del proprio figliolo Giordano, da lui lasciato a governar la Sicilia nel 1082, il quale accecato dall’ambizione, sedotto da pravi consigli, tentò d’usurpare quella signoria, alla quale pegl’illegittimi natali non poteva aspirare. Soprappresi i castelli di Sammarco e di Mistretta corse a Troina, sperando. impadronirsi del tesoro del padre ivi riposto; ma ne fu respinto da coloro, che ne stavano a guardia. Il savio conte, tornato di volo in Sicilia, temendo non l’incauto giovane, per disperato consiglio si gittasse ai Saracini, finse di non far caso del suo delitto e tenerlo trascorso giovanile; per che il figlio si fece cuore a venirgli innanzi e ne fa bene accolto; ma fatti poi pigliare ai suoi sergenti dodici di coloro, che lo avevano confortato alla rea impresa, li fece accecare; lo stesso fece vista di voler fare al figlio; ma poi fingendo tenersene per le preghiere dei suoi familiari, lo lasciò andare, abbastanza punito dall’esempio e dallo spavento.
      Non guari andò che più grave cagione richiamò Ruggiero nel continente. Il duca Roberto ritornato in Puglia dopo la presa di Palermo s’era accinto a dilatare il suo dominio in quelle parti; la repubblica d’Amalfi a lui s’era sottomessa; aveva invaso lo stato del principe di Salerno suo cognato; scomunicato replicatamente da papa Gregorio VII, per non aver voluto riconoscere il supremo dominio di lui s’era poi pacificato, quando le ardite pretensioni di quel pontefice gli tirarono addosso le armi di Arrigo IV imperatore d’occidente; varcato l’adriatico avea portate le armi contro il greco impero; conquistata Corfù, Botonero, la Vallona, era venuto a stringer d’assedio Durazzo, e comecchè assai legni ed assai gente avesse perduto in una tempesta ed in una battaglia coll’armata veneziana, venutogli contro l’esercito bizantino, comandato dallo stesso imperatore Alessio Comneno, ne aveva riportata compita vittoria; espugnata poi Durazzo s’era innoltrato fin presso Costantinopoli; lasciato ivi a comandar per lui il figliuolo Boemondo, era ritornato in Italia, per sottomettere alcuni dei suoi baroni, che s’erano rivoltati, e correre in aiuto di papa Gregorio, che l’imperatore Arrigo, entrato già in Roma, assediava nel castello di SantAngelo; composto il suo stato, fugati gl’imperiali liberato il pontefice, era ritornato alla guerra d’oriente; assalito nei mari di Corfù dall’armata greco-veneta avea combattuto tre giorni; nei primi due gli alleati ebbero alcun vantaggio, nel terzo la vittoria di lui fu intera, le galee bizantine furono prese e disperse, di nove legni veneziani di straordinaria mole, che combatterono sino all’estremo, sette furono sommersi e due presi; vi perderono gli alleati tredicimila uomini.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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