Saccheggiò Nicotra; spogliò due chiese a Reggio; assalì un monastero di donne presso Scilla; ne trasse quanto v’era di prezioso, nè le sacre vergini ne andarono illese. Tutte le sue cure rivolse allora il conte all’assedio di Siracusa, che quel Saracino reggea. Verso la fine di maggio del 1086, fatto ogni appresto di navi e di gente, mosse coll’armata, mentre il figliuolo Giordano coll’esercito colà si recava per terra. Si riunirono alla foce dell’Alabo, presso la moderna Augusta. Fatto notte, spedì verso la città sopra una saettia, per esplorare la situazione del nemico, un Filippo; e, perchè costui, e quanti erano sulla barca, parlavano la lingua araba, poterono, senza sospetto, passare in mezzo all’armata saracina, ed osservar tutto. Di ritorno il domane, riferirono d’essere i nemici presti alla battaglia. Nel cuor della seguente notte il conte mosse coll’armata lasciato ordine al figlio di restarsi collo esercito ad aspettar l’evento. Come i Saracini scoprirono i legni cristiani, corsero ad affrontarli. Impetuoso fu l’attacco di quelli, gagliarda la respinta di questi. Ben-Avert per finire in un sol colpo la battaglia, corse sopra la galea comandata dal conte, sperando superar di leggieri un nemico poco uso a combattere in mare; ma trovò quella resistenza che non s’aspettava. I due campioni erano degni di stare a fronte l’un dell’altro, nè coloro che ai fianchi di questo o di quello combattevano, eran da meno. Il comandante saracino, comechè ferito di giavellotto nel bollor della mischia, pur combatteva, quando l’animoso Rugiero, passando d’un salto sulla galea di lui, gli correa sopra colla spada in alto; quello, per ischivarne lo scontro, volle saltare su d’un’altro legno, ma nol potè; fiaccato dalla ferita, grave dell’armi, cadde in mare ed annegò. La sua morte empì di spavento l’armata e la città; i legni saracini si volsero in fuga; ma sopraggiunti dai cristiani furono tutti presi; e se Giordano avesse in quel momento assalita la città, forse si sarebbe resa senza resistere.
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