Sentiva ben egli che solo della sua spada e dal suo cuore riconosceva il trono; nè pativa che nel suo stato altra autorità, qual che si fosse, prevalesse alla sua. Per la morte di Gregorio non avevano i successori di lui cessato di negare ai sovrani il dritto di dar l’investitura ai vescovi dei loro stati. Intanto più aveva Rugiero ragione d’esser geloso di quel dritto, in quanto papa Gregorio da lui pregato a consacrare il vescovo eletto di Troina, non s’era negato, ma aveva risposto, che il consentiva, comechè la scelta fosse stata illegale, per non esservi stato l’intervento di un legato apostolico e il consenso del pontefice (181). Da ciò era facile il conoscere quali erano le pretensioni della romana corte.
Ben cadde in acconcio allora la venuta di papa Urbano in Sicilia. Nelle conferenze, che ebbero luogo tra lui e il conte, è assai verisimile che questo avesse dichiarato a quello di non volere in conto alcuno menar buone le pretensioni messe fuori da papa Gregorio. Poteva in quel momento Rugiero far valere i dritti suoi; non poteva Urbano mostrarsi tenace nel difendere l’autorità pontificia; perochè non altronde poteva avere ajuto nelle angustie, in cui era impelagato. Però trovò il ripiego di conferire al conte tutte le facoltà di legato pontificio. Così, indefiniti restando i confini tra la pontificia e la sovrana autorità, nulla il pontefice perdeva in dritto, tutto il conte acquistava in fatto.
Che così sia ita la bisogna, possiamo argomentarlo primieramente dagli stessi diplomi del conte Rugiero per l’elezione dei vescovi di Siracusa di Catania, di Girgenti e di Mazzara, fatta tosto dopo la partenza di Urbano.
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