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      Tanto smodate furono le gravezze imposte a quei di Libbrizzi, dopo che quella terra fu concessa al monastero in Lipari, che quei meschini finalmente nel 1117 ne chiesero un qualche alleviamento all’abate Ambrosio, il quale, consultato l’affare coi suoi monaci, stanziò che quindi innanzi travagliassero pel monastero solo una settimana in ogni mese; di che si tennero tanto lieti che spontaneamente aggiunsero per soprassello altre quaranta giornate di lavoro coi propri buoi nel corso dell’anno, una nelle messe, e due nelle vendemmie.
      Esigevano oltracciò i feudatari tutti i dazi, che dalla gente di suo vassalaggio si pagava nelle strade, nelle piazze, nelle porte, nei campi, e fin le dogane, che sono state sempre il dritto sovrano, si trovano in quell’età concesse ai feudatari di primo ordine, quali erano il vescovo signore di Catania e il conte di Siracusa.
      Ma il dritto più eminente, che esercitavano i baroni, era quello d’amministrare la giustizia nei loro feudi. Non è già che tal dritto era inerente alla natura del feudo; se ciò fosse stato non sarebbe stato mestieri un’espressa concessione del principe; ma nel fatto in tutte le concessioni di feudi in quell’età si trova, con più o men latitudine, concesso quel dritto. A tutti i feudatari si dava la bassa, o sia la civile giurisdizione; l’alta, ossia la criminale, non a tutti s’accordava; ed in que’ casi stessi, in cui tal dritto era concesso, s’eccettuava sempre il giudicare di quei delitti che meritavano la pena di morte, come l’omicidio e l’alto tradimento.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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