In somma nissun fatto può addursi per provare la supposta dipendenza feudale della Sicilia.
È al contrario di gran momento ciò che narra Falcone Beneventano, scrittore di quell’età. Guglielmo duca di Puglia nel 1122, per punire la tracotanza del conte d’Ariano suo vassallo, si diresse al secondo Rugiero, allora conte di Sicilia, che in quelle parti si trovava, e pregando, e piangendo così gli parlò: «Imploro la vostra potenza, egregio conte, e pei legami del sangue, e per la copia delle ricchezze vostre, avendo a dolermi del conte Giordano; acciò col vostro aiuto possa trarne vendetta (205).» Non è questo certamente il linguaggio di un sovrano che avesse avuto dritto di chiedere quel servizio ad un suo vassallo. Quelle espressioni e quel fatto, narrato da uno scrittore che era ivi presente (206) certo pesano più del se habendam del Malaterra; ma il Malaterra, come segnò la concessione feudale della Sicilia, fatta da Papa Leone IX al conte Unfredo, da lui riferita in termini espressi e positivi, potè in questo luogo usare una falsa locuzione, la quale è propria dei tempi per designare una concessione feudale, ma i tempi, non ne conoscevano altre; perchè non altre idee avevano gli uomini; e però quella frase poteva avere un senso più generale. E se il duca Roberto e’ suoi figliuoli usarono il titolo di duchi di Puglia e di Sicilia, ciò fu, perchè vi possedevano la città capitale, e perchè il Guiscardo, che giunse alla sovranità prima di Rugiero, conservò sempre una certa prevalenza sopra di lui, onde menar vanto d’esser egli a lui debitore del trono.
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