Tanto bastò perchè quei baroni, e prima fra tutti il conte d’Avellino, che forvoglia lo avevano riconosciuto, da lui si distaccassero ed al papa aderissero. Rugiero tentò tutte le vie di placar l’animo di Onorio; per suoi ambasciatori lo presentò di gran doni; gli profferì il dominio di due città, si esibì pronto a riconoscere da lui il ducato. Eran novelle. Rispose alle mansuete proposizioni di Rugiero iterando la scomunica; nè alle sole armi spirituali si tenne. Si strinse in lega con Roberto principe di Capua; per farselo maggiormente amico venne a Capua; ed alla sua presenza lo fece a quell’arcivescovo con gran pompa consacrare. Vi chiamò un sinodo di tutti i vescovi, nel quale scomunicò per la terza volta Rugiero; convocò tutti i baroni di Puglia, e con patetica allocuzione gli invitò alla guerra (215). E per dar loro maggior coraggio pubblicò una indulgenza plenaria di nuovo conio (216). Per cui tutti coloro, che pigliavano le armi in quell’impresa, restavano assoluti dei peccati; con questo che, se morivano in battaglia i peccati erano rimessi tutti, se sopravvivevano, una metà (217).
Tornate affatto vane le vie pacifiche, Rugiero, per far tornare in capo un po’ di cervello al pontefice, venne in Sicilia, chiamò il servizio dei baroni siciliani; vi unì un corpo di mercenarî, che egli teneva a soldo; e con tali forze, rivalicato il faro, chiamati anche i baroni di Calabria, venne da prima ad invadere il principato di Taranto, che era già appartenuto a Boemondo, il quale nel partire per la Palestina lo aveva lasciato sotto la tutela del pontefice.
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