Tanta fu la pompa della città, che, a dir del Telesino, avresti creduto che tutte la dovizie e le magnificenze del mondo si fossero riunite in Palermo.
Le regie sale erano parate di magnifiche tappezzerie, i solai ne erano coperti di tappeti vaghissimi per la varietà dei colori. Il nuovo re venne fuori, preceduto da tutti i baroni e cavalieri del regno; ivan costoro a due a due; d’oro o d’argento eran le briglie ed i fornimenti dei loro cavalli, con apparato forse più magnifico seguivano i più distinti personaggi, che facevan corona intorno al re. Giunto al duomo, vi fu consacrato dagli arcivescovi di Benevento, di Capua, di Salerno e di Palermo; il principe di Capua gli porse la corona (219). Nei reali banchetti, che indi seguirono, non altro vassellame si vedea che d’oro o di argento; gli scalchi, i paggi, i donzelli e fino i valletti, che servivan le mense, erano vestiti di tuniche di seta che in quell’età era di tanto valore, che nella fastosa corte di Costantinopoli si usava solo dallo imperatore e dagli augusti.
VII. - Dato onesto luogo alle publiche esultazioni per quell’avvenimento, ch’era per assegnare una nuova era nei fasti siciliani, il re, sempre inteso a raffermare la sua autorità, sì che non avesse avuto più a temere interni sconvolgimenti per l’eccessiva potenza de’ sudditi, mandò ordine agli amalfitani di consegnare a lui tutte le fortezze, ch’erano intorno alla città, ch’egli avea dovuto acconsentire che restassero in mano dei cittadini, per indurli a riconoscere il suo dominio, e che allora in poi non avevan mai voluto cedere.
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