Non intimoriti dalla maggior potenza e dignità del re, coloro si negarono; anzi risposero: bastar loro la vista di difender quelle fortezze a fronte delle truppe regie. Avuta tale audace risposta, il re spedì per terra un grosso esercito, comandato da Giovanni, che era uno dei suoi ammiragli; ed un’armata sotto gli ordini del grande ammiraglio Giorgio d’Antiochia. Quello, per espurgare tutti i forti ch’erano sul tenere degli Amalfitani; questa per sottomettere le isole ed impedire che giunsero per mare soccorsi alla città. I due comandanti, presi dall’uno le isolette di Guallo e Capri, dall’altro altri forti entro terra, riunirono le loro forze per istringer dal mare e dalla terra Trivento; e, caduta, malgrado la gagliarda resistenza, quella fortezza, corsero ad assediare Ravello, città munitissima, in cui erano riposte le speranze degli Amalfitani. Qui sopragiunse il re; e trovò che già la torre maggiore, battuta da gli assalitori, crollava. Allora cadde l’animo, non che ai Ravellini, ma agli stessi Amalfitani, i quali, a scanzo di maggior danno, si piegarono al volere del re, cedendogli tutte le altre fortezze. Il re vittorioso venne a Salerno.
Restava in quelle parti ancora indipendente la città di Napoli, la quale davasi il vanto che, dalla caduta del romano impero, non era mai stata sottomessa dalle armi straniere e s’era sempre governata a popolo, sotto il regimento dei suoi duchi; pure in tanta soggezione avea messi il re gli stati vicini, che i Napolitani volontariamente spedirono a Salerno il loro duca Sergio, per dichiararsi vassalli di lui e prestargli colle solite forme l’omaggio.
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