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      VIII. - Ma, mentre tutto pareva piegarsi alla autorità di re Rugiero, da una lieve scintilla divampò un vasto incendio di guerra che più anni bastò e fu per fargli perdere le provincie continentali. Era fra’ baroni di Puglia potentissimo innanzi ad ogni altro il ricantato conte d’Avellino. Riccardo fratello di lui, levato in superbia per la nobiltà del suo sangue, per li vasti dominî del fratello e per l’esser questo cognato del re, avendo menato in moglie la Matilde sorella di lui, ivasi vantando: essere la contea d’Avellino e la città di Merculiano, stati affatto indipendenti, nè doversi per esse alcun servizio al re. Non era Rugiero tale da lasciar andare impunita simile bravata; e però spedì un regio messo ad impossessarsi per lui della contea e della città. Nissuno osò resistere, tranne l’avventato Riccardo il quale buttato in terra quel messo, gli mozzò le nari e gli cavò gli occhi. In questo, la contessa d’Avellino, lasciato secretamente Alife, ove dimorava, venne col figliuolo ad unirsi al re suo fratello in Salerno; dichiarando di non volere più tornare al marito e chiedendo la restituzione della Valle caudina con tutte le terre e le castella in essa comprese, che avea recato in dote.
      Era allora il conte d’Avellino in Roma, mandatovi dal re con dugento militi, in ajuto dello antipapa Anacleto, cui aderiva. Come seppe la fuga della moglie e l’appropriazione degli stati, spedì suoi messi al re per chiedere la restituzione di quella e di questi. Rispose il re: sè non avere rapita la contessa, nè tenerla a forza; avere essa piena libertà di tornare al marito, malgrado l’esser egli d’avviso, giuste essere le querele, ragionevole la dimanda di lei; Avellino poi e Merculiano essere stati a buon dritto appropriati, in pena del fellonesco parlare di Riccardo, di cui il conte si era reso complice; perocchè in sua presenza il fratello avea sempre detto non doversi alcun servizio per que’ feudi, senza che egli lo avesse mai, non che ripreso contraddetto; anzi soggiunse il re, io, io stesso, quando eravamo in Palermo, al conte mi querelai dall’arroganza del fratello, ed egli, poste in non cale le mie querele, lasciò che quello continuasse a far delle sue; del resto, venga egli in mia presenza, in compagnia. di quei signori che vuole, si sottoponga al mio giudizio ed otterrà ciò che sarà di ragione.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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