Ma il re fu sì abile o fortunato, che in tre settimane di viva forza la prese, facendovi prigione lo stesso principe, che in ceppi fu mandato in Sicilia. Il conte di Conversano allora, anzichè affidarsi all’incerto evento della guerra, fatto senno delle disgrazie del conte di Andria e del principe di Bari, pattuì col re la vendita di Brindisi e quant’altro egli possedea, per passare, come allora era in voga, in oriente, in busca di miglior ventura. Così pagatone ventimila schifati (220), tutte quelle città vennero in potere del re. Lo schifato si suppone pari ad una doppia di Spagna, ossia sei delle nostre once (221), e però tutto il capitale pagato risponderebbe a centoventimila once; ma paragonando i prezzi delle derrate di allora ai presenti, si vede che quel denaro, oltrepassa due milioni di once di oggidì. Ciò mostra la vastità degli stati di quel conte e l’immense dovizie che il re dovea tenere in serbo, se nel bollore di una guerra poteva disfarsi di tal capitale.
Il principe di Capua non istava intanto ozioso. Sin da che il re assediava Bari, aveva a lui spedito un suo messaggio, per pregarlo a restituire al conte d’Avellino gli stati e la moglie, altrimenti avrebbe a lui negato il suo servizio. Comecchè vassallo del re di Sicilia, era il principe di Capua anch’egli sovrano; però non eran lievi le preghiere e le minacce sue; ma il re, cui la prospera fortuna avea reso inflessibile nelle sue determinazioni, con viso arcigno rispose: maravigliare che il principe ardisse tramettersi in ciò che non gli appartenea; essere questo un pretesto, per sottrarsi al dovere del servizio, farebbe per suoi messi sapere a lui la sua volontà; pensasse che negandosi a prestare il dovuto servizio, qual che ne fosse la ragione, si farebbe reo di fellonia e di spergiuro.
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