I regî non tennero l’urto e si volsero a fuggire in rotta, nè valse al ritenerli la voce o l’esempio del re, che fu l’ultimo a voltar la briglia e con soli quattro militi venne a riparare in Salerno. Venti baroni, settecento militi oltre i gregarii in assai maggior numero, vi restarono prigioni; anche più ne furono uccisi; cavalli, armi bagagli tutto venne in potere de’ vincitori (222).
Quella sconfitta ebbe grandi conseguenze. Il conte di Conversano, che ancora non era partito per Gerusalemme, come avea promesso, pentito della vendita fatta, riprese le armi, e, raccolta una presa di gente, ribellò la città di Gilenza, ed indusse quei cittadini a cacciare Polutino, governatore postovi dal re, e darsi a lui. Le armi riprese del pari il conte d’Andria; e loro s’unì il conte di Matera. Costoro mandaron messaggi al principe di Capua ed al conte d’Avellino, per istringersi in lega. La stessa città di Bari poco mancò che non levasse lo stendardo della rivolta; in una sommossa popolare erano stati uccisi parecchi de’ Saracini, che il re vi avea lasciati a fabbricare alcuna fortificazione. Il re, cui molto calea di quella città, vi si recò e facendo ragione a quei cittadini d’alcune dimande, estinse l’incendio. Lasciato poi una mano dei suoi ad osservar gli andamenti dei nemici; messa una forte guarnigione in Montefosco, per molestare il tenere di Benevento, venne in Sicilia a far gli appresti della nuova campagnia.
In questo il principe di Capua e il conte d’Avellino, venuti prima in Puglia, giurata la lega coi nuovi consorti, si recarono in Roma, ove sapevano d’essere già arrivati papa Innocenzo e re Lotario, il cui soccorso speravano; ma le speranze loro andarono fallite.
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