Venuti colà a trovarlo i suoi consorti, approvarono la lega, e, per sollecitare la venuta delle galee pisane, furono spogliate le chiese di Napoli e di Capua, onde si trasse l’argento pattuito, che fu immantinente pagato.
Mentre costoro stavano ad aspettare l’armata pisana, sulla speranza ch’essa avrebbe impedito il ritorno del re; e però le milizie regie, non più socorse e prive di conduttiere, sarebbero state facilmente cacciate dalla Puglia e dalla Calabria, il re, nell’appressarsi della primavera del 1134 giungeva a Salerno con sessanta galee. Dato il guasto al porto di Napoli ed alle vicine castella, s’inoltrò nel principato di Capua. Il conte d’Avellino, che si trovava allora con poca gente separato dai compagni, fece loro grandi premure d’accorrere al presente pericolo. Si riunirono tutti a Marigliano; ma le forze loro erano a gran pezza inferiori a quelle del re. Però il principe di Capua tornò di volo a Pisa, per affrettare il pattuito soccorso; e ’l conte d’Avellino si mise per le poste dell’esercito regio, ad ispiarne gli andamenti e far di ritardarne i progressi.
Libero il re nei suoi movimenti, valicò il Sarno, e lasciato al passo di Scafato buon nerbo di cavalli e d’arcieri, per tenere il guato ai nemici, col resto dell’esercito tirò all’assedio di Nocera. Tentò più volte il conte di guadar di viva forza il fiume; ma incontrò tal resistenza, che ogni tentativo fu vano. Gli restava solo speranza che il re avesse a sprecare invano le sue forze sotto quella munitissima città; ma i cittadini, spaventati dall’esercito numeroso che s’appressava senza molestia; dal grande apparato di macchine e strumenti bellici e soprattutto dal male che ne era incolto a quelle città che avevano osato resistere, presero consiglio d’arrendersi, malgrado il numero, il coraggio e ’l fermo proponimento della guarnigione.
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