Venuti fuori di nascosto i maggiorenti, si presentarono al re; si dichiararono pronti ad ammetterlo di queto in città; pregavano solo a lasciare impuniti, i cittadini e non demolire la città e ’l castello, e ’l re il consentì. Il pro Rugiero da Sorrento, che comandava in quel castello, visto la città già resa, disperato di soccorso, per mala forza si piegò al comun volere ed andò via colla gente che seco avea.
Caduta Nocera, volse il re le armi contro gli stati del conte d’Avellino, incontrando per tutto debole o nulla resistenza. Le città e le castella erano spianate, gli abitanti messi a fil di spada, le campagne sperperate. Cadde allora l’animo del conte, ed avanti che perder tutto lo stato, cercò salvarne parte sottomettendosi (225). Spedì messi al re, per proporgli di tornare all’obbedienza di lui. Il re, avuto tal messaggio, sostenne la guerra e rispose al cognato: se essere pronto a pacificarsi e restituirgli la moglie e ’l figliuolo, a patto che la contessa si avesse la Valle caudina che avea recata in dote, ed a lui restassero le città e le castella acquistate colle armi. Per dure che fossero tali condizioni, ebbe il conte per mala forza ad accettarle; venuto in presenza del re; piangendo a calde lacrime, voleva prostrarsi e baciargli i piedi; il re nol consentì; levatolo da terra, lo abbracciò, lo baciò. Fu offerta anche la pace al principe di Capua, a patto di tornare a prestare omaggio al re pel suo principato e cedergli tutte le città conquistate; e se egli non volea personalmente acchinarsi, cedesse lo stato al figlio, con questo che il re, come supremo signore, lo tenesse, per restituirlo al figlio, come fosse di maggiore età, purchè il padre nulla più tentasse contro il re.
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