Ma in quella vece riedificò Aversa e Cuculo, e vi mise numerosi presidi, per instar sempre a devastar quei campi e scorazzare, onde Napoli non avesse viveri. I collegati, che dentro la città erano, non osavano venir fuori ad attaccar battaglia colla gente del re, più numerosa e ben preparata a riceverli; nè potevano restar dentro lunga pezza, per la fame che già li stringeva. In tali angustie chiesero nuovi e solleciti soccorsi ai Pisani, i quali spedirono a quella volta venti galee con altri soldati. Costoro mentre s’avvicinavano a Napoli, volendo dare un colpo al re e sperando forse divertirlo dall’assedio di Napoli, preso terra presso Amalfi corsero ad assalirla, e trovatala sguernita di truppe, che il re le aveva chiamate presso di sè, colta la città alla sprovveduta, la saccheggiarono; nè contenti a ciò, avanzati entro terra, assalirono le vicine castella, e da ultimo si fermarono ad assediare la Fratta. Avuto il re avviso di ciò, da Aversa, ove si trovava, colà corse diviato, e coltili, mentre tutt’altro che ciò s’aspettavano, ne uccise o fece prigioni da mille cinquecento, essendovi restati dei consoli della repubblica due prigioni ed uno morto. Coloro che sulle navi erano, saputo il caso, dilungaronsi e volsero le prore a Pisa, menando seco il bottino d’Amalfi. Fra quelle spoglie si vuole essersi trovato il manoscritto delle pandette di Giustiniano, che pubblicato poi in Firenze, venne a formare la parte essenziale della giurisprudenza di Europa.
Cacciati i Pisani d’Amalfi, il re tornò ad Aversa, per compire le fortificazioni della città e devastare del tutto i colti intorno Napoli.
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