Tal’idee gli erano di continuo fitte nell’animo dal papa, dai ribelli baroni e più che altri da S. Bernardo abate di Chiaravalle, il quale, avendo caldamente prese le parti di papa Innocenzio, non si faceva coscienza di scrivere all’imperadore (tanto le idee del santo uomo erano pervertite dal pregiudizio) usando le parole che, secondo il vangelo, si dicevano dagli Ebrei a Pilato per accusar G. Cristo: Qui regem se fecit (aggiungendovi Siciliae) contradicit Caesari.
Al tempo stesso un’altro esercito, capitanato da Arrigo duca di Baviera, al quale s’era unito lo stesso papa Innocenzio, si diresse per Sangermano, di cui si fece padrone. Sottomessa poi Capua e tutto quel principato, lo restituì all’antico principe, e quindi avvicinatosi a Benevento, malgrado un forte presidio ed un numeroso partito, che pel re e per l’anti papa tenea, se ne insignorì; presa poi Troja, venne a congiungersi all’imperadore in Bari, che dopo lunga resistenza s’era finalmente resa; e poco dopo s’arrese anche Melfi. Tale era lo spavento, che da per tutto portava quell’esercito e per lo numero dei combattenti e per la qualità dei condottieri, che le altre città di Puglia ed in parte ancora di Calabria, tranne Amalfi e Salerno, senza aspettarne comando, si diedero all’imperadore; ma Amalfi, scottata del sacco non guari prima sofferto, fatto un dono a Lotario, ebbe pace; e Salerno si arrese, restando entro la principale fortezza quattrocento dei militi del re.
Mentre l’esercito imperiale correva a posta sua le provincie oltremare, il re stava in Sicilia, senza pure accennare di correre in difesa di esse.
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