Tali sensi erano avvalorati dall’eloquenza dell’eresiarca, dalla sua non comune erudizione, dagl’illibati costumi suoi, dall’abito monastico che indossava e soprattutto dal pubblico favore; ed i suoi partigiani divennero più numerosi e più arditi, dopo che cominciò ad esser perseguitato, per avere papa Innocenzio II condannato le dottrine di lui nel concilio laterano. Il basso clero cominciò la riforma della chiesa con cacciare i cardinali dalle ventotto parrocchie di Roma; cominciò la plebe, come sempre ha fatto, la riforma dello stato con saccheggiare le case de’ grandi. Fra ’l sangue, i tumulti e le rapine, vollero i Romani rinverdire l’antico governo; i nuovi senatori si misero in possesso del Campidoglio e vi s’afforzarono; papa Lucio II s’attentò di cacciarneli, e vi restò morto a furia di sassi; nel trambusto fu eletto Eugenio III, il quale, non tenendosi sicuro in Roma, venne a farsi consacrare nel monastero di Farfa, e poi stanziò in Viterbo.
Sentiva bene papa Eugenio, che nell’esaltazione, in cui erano i Romani, le armi spirituali nulla valevano a difendere la potestà temporale; temeva (e i Romani lo speravano), che Corrado III, che allora sedea sul trono in Germania, non volesse cogliere quel destro di raccattare il dominio di Roma. In tale stretta non altronde poteva sperare soccorso che dal re di Sicilia, e però senza por tempo in mezzo, ricevuto dal re una grossa somma di danaro, confermò, non che il trattato conchiuso con Innocenzio II, ma tutte le precedenti concessioni.
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