L’ammiraglio, lasciatovi mille Siciliani, passò oltre; invase l’Acarnania e l’Etolia, e sottomise le città mediterranee di quelle provincie; entrato nella Beozia, prese d’assalto Tebe, che ancora era città opulentissima; ricchissimo fu il bottino che ne trasse, e grande il numero de’ prigioni, fra’ quali furono molte persone di ambi i sessi, esperte nell’arte di produrre e tesser la seta. Maggiori ricchezze furono trovate in Corinto. Gli abitanti, all’avvicinarsi dell’armata siciliana, abbandonata la città bassa, s’erano, con quanto aveano di prezioso, ritratti nell’Acrocorinto, fortezza tanto munita, che sarebbe stata inespugnabile, se i Corinti fossero stati ancora Corinti; ma i degeneri successori di Timoleonte non ebbero cuore di tener l’assedio. Quanti ivi erano, d’ogni età, d’ogni grado, d’ogni sesso, con tutte le ricchezze loro furono messi sulle navi siciliane, le quali, al dir del greco Niceta Coniate, non più da guerra, ma apparivano da carico, e questo era tanto strabocchevole, che correvan rischio di esserne sommerse. Grande fu la ricchezza venuta in Sicilia per quelle prede; ma la ricchezza più solida fu lo stabilimento delle manifatture di seta, alle quali il re destinò quei prigioni, ch’eran da ciò.
Scosso il greco imperadore dalla subita invasione, apprestato un’esercito ed un’armata, venne nel 1149 ad assediare Corfù, che, per esser un punto assai vantaggioso pel commercio del levante, che era il solo che a que’ dì si faceva, era, per quanto appare, la sola conquista che il re volea stabilmente fare in quelle parti; per tutto altrove era stata una gran correria.
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