Tale idea, accompagnata da quell’interno turbamento, che porta sempre il delitto, esaltata dal solenne apparato di religione, dalle esortazioni de’ vescovi, che tanto impero esercitavano allora sulle coscienze degli uomini, e dalla tremenda invocazione del nome di Dio, dovea smagare l’animo più sicuro, e ’l ferro dovea crocchiare nella mano di colui, che era certo d’impugnarlo, non contro l’uomo, ma contro lo stesso Dio.
Ma due gravi mali nascevan da ciò, primieramente colui, che per tal modo era scoperto reo, non riportava una pena proporzionata al delitto, ma una semplice penitenza; perocchè si supponeva che il reato era stato reso manifesto da Dio, che s’era dichiarato di non volere la morte, ma la correzione del peccatore. In secondo luogo quei procedimenti escludevano l’appello; dachè sarebbe stato empio il riesaminare un giudizio di Dio.
I tempi non consentivano il troncamento radicale di tali abusi. Comechè gli ecclesiastici, che fra le tenebre dell’ignoranza del medio evo conservarono alcun raggio di luce, regolassero le loro corti coll’antica giurisprudenza ed ammettessero ne’ loro giudizii solo le prove legali; pure non prima della metà di quel secolo cominciò a divenir volgare lo studio della romana giurisprudenza, ed assai tempo ebbe a passare prima che esso avesse informato le menti di coloro ch’erano preposti al regimento de’ popoli, sì che si fossero adottate forme più regolari ne’ giudizii. Pure re Rugiero seppe dar la pinta alla riforma. Primieramente collo stabilire un’ordine graduale d’appelli dalla sentenza dei bajuli ai camerarii ed ai giustizieri; da questi alla magna curia; e dalla magna curia al suo supremo consiglio; fece che gli uomini naturalmente vennero a preferire all’incerto e rischioso rimedio de’ giudizii di Dio la via regolare dell’appello.
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