Pure si sapeva in nube da tutti che Majone mulinava un piano contro la vita o il regno di Guglielmo; epperò quando il re dopo il suo ritorno da Salerno, non si fece più vedere da alcuno a segno che molti venuti da oltremare o per ossequiarlo o per supplicarlo, non poterono ottenere d’essere ammessi in sua presenza, si sparse di leggieri la voce d’essere egli morto di veleno datogli dal grande ammiraglio, il quale tenea celata la morte di lui, finchè il suo disegno fosse maturo. Laonde ai primi movimenti del conte di Lorotello e degli altri baroni di Puglia, anche que’ di Terra-di-lavoro, quale per uzzolo di novità, quale per la speranza di preda, quale per favorire il disegno del grande ammiraglio, e quale per vendicare la morte del re, tutti corsero all’armi. Nè guari andò che lo incendio si appiccò alla Sicilia.
Era fra’ baroni siciliani uno dei più potenti il conte di Montescaglioso, signore di Noto, Sclafani e Caltanissetta, uomo prode, generoso, dabbene, ma alquanto lieve e versatile; però venne in pensiero a Majone, anzi che disfarsene, trarlo alla sua. Con tale intendimento gli fece inaspettatamente togliere la signoria di Noto, facendo considerare al re d’esser pericoloso che una città così forte e popolosa fosse in mano di un suddito. Come ebbe aizzato così quel conte contro il re, avutolo a sè, cominciò a mostrarsi cruccioso contro il re, chiamandolo tiranno efferato ed ingiusto: «ma» soggiunse «ciò bene sta ai baroni siciliani, i quali, quasi femmine imbelli non osano tentar nulla contro d’un principe così forsennato ed ingiusto, che null’altro ha in mira se non l’oppressione dei sudditi e particolarmente de’ nobili.
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