Gli fu concesso a patto di giurar prima di riferire fedelmente al re quanto essi eran per dire; e quello ne fece sacramento. «Noi» disse allora il conte di Garsiliato «nulla osiamo od oserem tentare contro il re; ma siamo ricorsi all’armi, per impedire i perfidi disegni del grand’ammiraglio e dell’arcivescovo di Palermo, i quali hanno congiurato di metterlo a morte, perchè il primo ne usurpasse il trono; e pronti siamo venire inermi a piedi del re, ov’egli infligga ai suoi felloni il meritato gastigo».
Il conte di Squillace, di ritorno in Palermo, riferì fedelmente, come avea giurato, al re il discorso tenutogli in Butera. Il re dapprima ne fu turbato forte; ma poi, vinto alla sua affezione pel grand’ammiraglio, non potè indursi a credere che un uomo tanto da lui beneficato potesse cospirare contro la sua vita e il suo trono; e non solo tenne falso l’avviso; ma chiamato a se il grand’ammiraglio, a lui palesò quanto il conte di Squillace gli avea riferito, assicurandolo, che egli non sarebbe mai per dar fede a tali calunnie; anzi gli diede ordine di fare ogni appresto di guerra, perchè voleva egli stesso recarsi coll’esercito in Butera a punire quei tracotati baroni. Tale era il carattere di Guglielmo, che passava istantaneamente dalla somma negghienza all’audacia estrema, per cui si gettava a casaccio nei rischi; e questa inaspettata attività spesso confuse i suoi nemici e lo trasse d’imbarazzo.
Mentre si radunavano le regie forze in Palermo, il conte di Montescaglioso, lasciati presidii nelle sue terre, era ito a congiungersi agli altri baroni in Butera.
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