Ve ne erano prossimi alla carica di gran camerario; ve n’erano destinati alla amministrazione delle reali entrate; ve ne erano comandanti delle armate, ed a costoro si dava il titolo di gaiti, corrotto dall’arabo al Kaid. Un gaito Pietro, ch’era in grande stato presso il re Guglielmo, ed anche più presso il grand’ammiraglio, comandava un’armata, che allora era nei mari di Spagna. A costui finse il grand’ammiraglio di mandar ordine di soccorrere Mahadia; e quel gaito colà si diresse. All’avvicinarsi delle galee siciliane fecero cuore gli assediati, e già si preparavano ad attaccare il muro dell’istmo, e correr sopra gli Affricani, mentre l’armata siciliana avrebbe combattuta la marocchina. Gli Affricani ne furono tanto spauriti, che tiraron in terra i legni loro; ma l’evirato ammiraglio, fattosi appena vedere, voltò le prore per Palermo; i Marocchini, ripreso cuore, rimisero in mare l’armata, si diedero ad inseguire le navi siciliane, e loro venne fatto di prendere alcuni de’ legni sezzaî. Ciò non pertanto la piazza continuò lung’ora a difendersi; mancati affatto i viveri, quei prodi soldati giunsero a mangiare i cavalli, i cani e fino i più sozzi animali. Il re di Marocco cui non era ignoto lo stato loro, chiamatine a parlamento i capi, loro disse: non ignorare egli la loro strettezza; sapere altresì per la lettera scrittagli dagli eunuchi del Palazzo di Palermo, che da Sicilia non sarebbe mandato loro alcun soccorso, esser vano ostinarsi più oltre a tenere piazza quasi contro il volere del loro re; e però se di queto rendevano la città, offriva loro di ritenere al suo servizio coloro che non volevano andare incontro alla tirannide di re Guglielmo, o rimandargli sopra legni suoi in Sicilia, se ciò fosse lor grado.
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