Bonello soprastette e scrisse a Majone una lettera tutta umile ed amorosa, nella quale a lui diceva: esser in Calabria ogni cosa tranquillo; que’ baroni esser tornati all’obbedienza; e soggiungeva, ch’egli era stato e sarebbe sempre in avvenire pronto a durar qualunque fatica ed affrontare qualunque pericolo per lo suo servizio; ma non averne ancora ottenuto quel merito, che il suo cuore ardentemente desiderava, le nozze della sua figliuola; e però caldamente lo pregava a contentarlo di ciò, senza differire il maritaggio più oltre.
Tale lettera dileguò affatto i sospetti del grand’ammiraglio, il quale credendo di smentire tutti coloro, che lo avevano avvertito della intenzione di Bonello, gongolando a tutti la mostrava. Rispose amorosamente, ringraziando Bonello di ciò che avea fatto e pregandolo a venir tosto in Palermo, ove le sue nozze non sarebero più dilungate. Bonello non pose più indugio al ritorno, e fu con lietissimo viso accolto dal grand’ammiraglio. Recatosi poi di soppiatto dall’arcivescovo, lo mise a giorno di quanto s’era indettato co’ baroni di Calabria, e quello altamente approvò il disegno e caldamente lo istigò a mandarlo con sollecitudine ad effetto, a scanzo di alcun contrattempo.
Era intanto venuto fatto al grand’ammiraglio di fare avvelenar l’arcivescovo, di che s’era ammalato; ma temendo che il veleno non fosse stato efficace abbastanza per torlo di vita, uno più forte ne preparò, e recatoglielo egli stesso sul far della sera del giorno 10 di novembre 1160, cominciò a pregarlo a pigliare quel rimedio, ch’egli stesso, sollecito della sua salute, avea fatto sotto gli occhi suoi preparare.
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