In questo, giunse in Palermo la notizia che Simone, fratello del re, Tancredi suo nipote, il conte d’Alesa, il conte di Conversano, Rugiero Sclavo, bastardo di Simone, e tutti gli altri congiurati, erano iti con tutte le forze loro in Caccamo ad unirsi al Bonello. Il re spedì a costui un messo, per chiedergli qual fosse l’animo suo verso di sè; a che si riunivano colà tante forze; e dirgli ch’ei maravigliava che tanti traditori avessero trovato ricovero nel suo castello. Rispose Matteo: sè non avere nè conosciute, nè approvate le azioni di coloro che il re chiamava traditori; dovere di cortesia averlo mosso a non negare ospitalità a tanti nobili profughi; che se il re ponesse mente alla sua condotta avrebbe da maravigliare, anzichè dell’accaduto, della lunga pazienza de’ baroni siciliani, i quali per tanto tempo ridotti alla condizione di vilissimi servi, avean dovuto tollerare (per tacere di mille altri soprusi) che le figliuole loro restassero per lo più nubili; perocchè non potendo esse andare a marito senza il permesso del re, s’era fin allora tanto stentato ad ottenerlo, che molte ne morivano prima d’averlo, e molte l’ottenevano, quando per l’avanzata età erano già inabili a portar figli; queste e le altre illegali consuetudini, di recente introdotte, volere i baroni (ed egli con essi) abrogate; ned eglino sarebbero per tollerare più oltre che venissero in parte alcuna derogati gli antichi statuti del regno, sanciti da Roberto Guiscardo e dal conte Rugiero confermati.
Il re, che di leggieri passava dall’avvilimento all’arroganza, rispose: volere avanti perdere il regno e la vita stessa, che cedere alle minacce; ma se; abbandonati i traditori, i baroni a lui venissero supplichevoli ed inermi, potrebbe esser loro concesso quanto dimandavano.
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