Accadde un di quei dì, che coloro che erano chiusi nelle carceri del real palazzo, s’abbottinarono, e, corrotti i custodi, vennero fuori, con animo di mettere a morte il re e levare una sommossa; ma, trovata forte resistenza al primo ingresso e sopraffatti dalle guardie occorse, vi lasciarono tutti la vita; non fu data sepoltura ai loro cadaveri, che buttati nei campi, vi furono lasciati pasto dei cani. Avvertito il re da questo secondo caso, ordinò che indi in poi, non più nel real palazzo, ma nel castello-a-mare di Palermo ed in altri forti si chiudessero i carcerati.
Comandava allora nel castello-a-mare un Roberto da Catalabiano, creatura degli eunuchi, innanzi ad ogni altro iniquo e rapace. Tutti i cristiani, che venivano in quelle carceri, erano da lui sopraccaricati di gravose catene, tutto dì bastonati ed in mille modi straziati, nè desistea da tal reo trattamento, se quegli infelici non davano a lui o vendevano a vilissimo prezzo le case, i poderi o altra cosa loro che appetiva. Non contento a tale iniquità, fece credere al gaito Pietro che molti dei complici della passata ribellione, impuniti tuttavia, stanziavano nelle città dei Lombardi. Il gaito e gli eunuchi, che agognavano a trar vendetta di quelle città, per l’eccidio non guari prima ivi fatto de’ Saracini, gli diedero la commissione di recarsi colà ad arrestare i supposti rei, ed egli, datosi a discorrer quel paese, venne da per tutto carcerando le persone più facoltose e tormentandole per estorquere da esse danaro.
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