Que’ vescovi invitarono a presedere al giudizio il cardinal Giovanni e ’l cardinale vescovo d’Ostia, che in Palermo allora era, perchè li tenevano assai esperti in tali cause che sempre sogliono agitarsi nella romana corte. Il cardinal da Napoli accettò l’invito; ma l’altro, uomo di salda virtù, sapendo che il compagno avea già presa l’imboccata dal marito, si negò. La ragione, per la quale quel conte pretendeva d’esser nullo il suo matrimonio era l’avere egli prima d’ammogliarsi, fornicato con una cugina della contessa, e ne adduceva in prova l’asserto di due soldati, che dicevano d’averlo visto cogli occhi proprî. Dalla parte della contessa, e per sostenere la validità del matrimonio e per l’onore della cugina, si replicava essere quei testimonî manifestamente mendaci, appunto perchè dicevano d’aver visto il fatto; perocchè azioni simili, massime tra persone d’alto rango, non possono essere esposte alla vista altrui, e molto meno di coloro che non erano familiari. Ciò non di manco il cardinale ammise i due testimonî al giuramento, e su questa sola prova dichiarò nullo il matrimonio, libero il conte di contrarre altre nozze; e, per soprassello d’iniquità, condannò la moglie a non potere più rimaritarsi. Gli altri vescovi e prelati, i quali, per quel che appare, ebbero anch’eglino il boccone, assentirono; pure dimandarono al cardinale se quel giudicato potea loro servire di norma in avvenire: mainò, sfrontatamente rispose, ciò che posso far io, voi nol potete (276).
Concorrevano allora alla corte di Palermo da tutte le parti di tali venturieri, che venivano ad ingrossarsi a spese della Sicilia.
| |
Giovanni Ostia Palermo Napoli Palermo Sicilia
|