Prima di partire i canonici di Palermo lo richiesero di rinunziar la sua elezione, lasciarli in libertà di scegliere il nuovo arcivescovo; a ciò, non potendo far altro, acconsentì. Trasportato da una tempesta in Alicata, comprata ivi una barca genovese, perchè la sua galea non potea più tenere il mare, navigò in Siria, ove ivi a poco si morì (283).
Gli altri Francesi, chiusi da prima ne’ castelli di Partinico e di Carini apprestato loro l’imbarco, andarono via anch’essi. Lasciò allora la Sicilia Pietro di Blois, ch’era venuto precettoro del re, il quale andò a stabilirsi in corte d’Arrigo II re d’Inghilterra, e quindi scrivea a Riccardo Palmeri: «Vi ringrazio di tutto cuore del vostro desiderio del mio ritorno; ma la Sicilia, pel suo clima e per la nequizia degli abitanti, m’è divenuta odiosa; me la rendono abominevole il clima mal sano, la crudelissima frequenza di veleni, che mette in pericolo l’incauta semplicità dei nostri. Chi può con sicurezza abitare un paese, ove a di più d’altri mali, i monti vomitano fiamme e mandano vapori sulfurei? Certo è questa la porta dell’inferno, di cui fu scritto: A porta inferi erue, Domine, animam meam. Voi avete preso in abbominio la dolcezza del clima e gli allettamenti del paese natìo e vi siete avvicinato alle porte della morte. Quanto si mangia o si beve qui è salutare e gradito; costì non mangiano altro che sedani e finocchi. Aggiungete ciò che sempre si legge nel libro dell’esperienza, di essere tutti i popoli isolani infidi, ma i Siciliani essere amici sofistici e nemici occulti ed atroci.
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