XV. - Mentre in Sicilia si gioiva per le regie nozze, l’alta Italia era dilaniata dalla guerra che ardea fra l’imperador Federigo Barba-rossa, le città di Lombardia, papa Alessandro III e re Guglielmo. Federigo finalmente, perduta la battaglia di Carrobio, fece proporre al papa un congresso a Bologna, per trattare la pace. V’aderì il pontefice coll’espresso patto che dovesse fra gli altri intervenire il re di Sicilia, senza il di cui assenso non sarebbe mai per venire ad alcun patto. Ciò conchiuso, re Guglielmo destinò suoi ambasciatori Romualdo arcivescovo di Salerno e il conte d’Andria gran contestabile e gran giustiziere di Puglia e di Terra-di-lavoro.
Giunti in Venezia, per passare quindi in Bologna, papa Alessandro e gli ambasciatori siciliani, l’Imperadore mandò colà l’arcivescovo di Magdeburgo ed il vescovo eletto di Vormazia a complimentare il pontefice, a proporgli di trasferire il congresso da Bologna a Venezia. Conosceva il pontefice d’esser quella città mal sicura per lui, per essere i Veneziani della fazione imperiale; per che poteva essere ivi esposto ad alcun soprammano; ciò non di manco, perchè volea sinceramente la pace, col consenso de’ Lombardi vi aderì, a patto che il governo veneto promettesse di vietare allo imperadore l’ingresso nel territorio della repubblica, senza il consenso del papa. Avuta tale promessa, cominciarono le trattative; ma queste andavano in lungo e forse artatamente. Papa Alessandro, per allontanare le difficoltà, propose ai ministri dell’imperatore di conchiudere la pace perpetua colla romana corte, una pace di quindici anni col re di Sicilia, ed una tregua di sei anni colle città lombarde (290), durante la quale si potevano a grand’agio esaminare i diritti e le querele di esse, per cui allora insorgevano molte difficoltà. I ministri imperiali, avutone il consenso dell’imperatore, vi aderirono; e, per sollecitare la conchiusione de’ trattati, pregarono il papa a permettere che l’imperatore venisse a Chiazza; e ’l pontefice il consentì. Come vi giunse, molti dei Veneziani mandarono secretamente ad offerirgli di farlo entrare in città a dispetto dei suoi nemici: fidato su tale promessa, quando i messi del papa vennero in sua presenza, pregandolo a confermare la pace conchiusa dai suoi ambasciatori, si mostrò ignaro di ciò che nel congresso di Venezia si era fatto.
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