Al tempo stesso la plebe della città trasse al palazzo ducale, chiedendo ad alte grida che l’imperatore entrasse in città. Il doge stava infra due: alcuni del popolo vennero alla casa, ove il papa era, insolentemente entrarono nella sua camera, mentre egli dormiva, e gli dissero esser volontà del doge e loro che l’imperadore entrasse in Venezia. Il papa disse loro: dover chiamare i suoi cardinali a consiglio; ed il domane avrebbe data risposta. Papa Alessandro si trovò allora in gravissimo rischio; gli ambasciadori siciliani lo salvarono. Vennero ad offrirgli di menarlo altrove su quattro galee loro. Corsero poi al doge, dicendogli che il loro soggiorno era pericoloso in una città, in cui non si tenevano le promesse; avrebbero di presente fatto ritorno in Sicilia; penserebbe re Guglielmo come punire la slealtà di Venezia. Ritornati a casa, si diedero a disporre tutto per la partenza. La loro minaccia non era lieve. Aveva non guari prima la repubblica conchiuso un trattato di commercio col re; per cui in quel momento gran numero di navi veneziane erano ne’ porti di Sicilia; ed assai mercatanti erano venuti a stabilirvi i loro fondachi. I Veneziani però entrarono in paura che, giunti gli ambasciatori in Sicilia, il re, per giusta rappresaglia avrebbe fatto arrestare le navi, i mercatanti, le merci dì Venezia. Tutti i negozianti corsero al doge, facendo conoscere il male che sarebbe incolto alla repubblica, se venivano a rompersi le conferenze. Il doge ebbe a cedere; non si parlò più dello ingresso dell’imperadore; questi, fallitogli il colpo, divenne più docile, la pace fu conchiusa e giurata dallo istesso imperadore e dodici magnati tedeschi, per parte di Arrigo suo figliuolo, nell’agosto del 1177.
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