Ritornati gli ambasciadori in Palermo, furono altamente lodati dal re, il quale promise di ratificare con suo giuramento la pace di 15 anni da essi conchiusa.
Nel seguente maggio arrivarono in Palermo gli ambasciatori di Federigo, per avere la ratifica del trattato. Il conte d’Avellino ed undici altri baroni ne giurarono sull’anima del re l’osservanza. Il re fece spedire il diploma di tal giuramento, al quale affisse il bollo d’oro. Gl’imperiali messaggieri fecero ritorno, accompagnati, secondo il costume, da uno scudiere del re. Giunti a Lagonero presso Salerno, nata una rissa tra lo scudiere ed alquanti contadini, quello, per salvarsi, entrò nella casa, in cui gli ambasciadori riposavano; i contadini infuriati vi penetrarono di forza; malmenarono gli ambasciatori ruppero lo scrigno d’uno di essi e ne trassero una coppa d’argento e il diploma. Avutone avviso il re, spedì severi ordini ai giustizieri di quella provincia di carcerare e punire colla massima severità i malfattori. In poco d’ora molti ne furono presi e fatti impiccare in Barletta, in Troja, in Capua, in Sangermano. Un nuovo diploma fu spedito a quegli ambasciatori, i quali, contenti della giustizia del re, andaron via.
Inesorabile era Guglielmo nel punire i malfatti. In quello stesso anno alcuni di Fajano misero a morte l’abate del monastero de’ Benedettini di Salerno; il re, saputo il caso, ordinò ai giustizieri la punizione degli uccisori. Questi carcerati dissero d’essere mandatarî del priore del monastero e di quello del monastero di Fajano; il sacro carattere di costoro non li sottrasse al meritato gastigo.
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