XVI. - La pace conchiusa coll’imperadore fu per essere rotta, prima di spirare i quindici anni. La regina Giovanna, dopo più anni di matrimonio, non avea dato alcun figliuolo al marito, che cominciava a perdere la speranza di prole; e però era assai probabile che fosse venuta a succedere Costanza figliuola postuma di re Rugiero; perocchè Tancredi conte di Lecce cugino del re, nato da Rugiero duca di Puglia suo zio, era da tutti tenuto bastardo, per non essere stato il matrimonio del duca di Puglia colla contessa di Lecce validato nè dall’assenso del re suo padre nè dall’ecclesiastiche formalità. Federico Barba-rossa, cupido di estendere la sua dominazione in Italia, pose l’animo alle nozze di quella principessa con Arrigo suo figliuolo e successore. Avea egli già convertita in istabile pace la tregua di sei anni convenuta colle città Lombarde. Nel 1185 venne in Italia, come per visitare le città, colle quali s’era pacificato, e cominciò a far secrete mene coll’arcivescovo Gualtiero, per indurlo a dar mano a quel matrimonio. Guadagnandolo, mandò ambasciadori in Sicilia a proporre di render perpetua la pace temporale, che era per ispirare ivi a sett’anni, a patto che il suo figliuolo Arrigo menasse in moglie la Costanza e fosse riconosciuto il dritto di essa alla successione, nel caso che il re venisse a morire senza figliuoli.
Proposto l’affare nel consiglio del re, lungo fu il dibbatto. Tutti i consiglieri, e più che altri il vice-cancelliere Matteo, furono d’avviso, doversi respingere la proposta: essere, dicevano eglino, quel maritaggio per arrecare gran calamità al regno, il quale perduta la sua indipendenza, sarebbe divenuto provincia della Germania; i beni, la libertà, le franchigie dei siciliani sarebbero per divenire esca alla ferocia, alla rapacità d’un popolo straniero; essere a tutti palesi le sevizie, alle quali erano esposte le città lombarde soggette al dominio dello Svevo; essere di rammentare i fiumi di sangue che Federico avea fatto scorrere in Italia; solo con uno scettro di ferro potere i Tedeschi reggere popoli in tanto più impazienti del loro giogo; in quanto erano da essi differenti di costumi, e superiori di civiltà, di ricchezza, d’ingegno, di sapere.
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