XVII. - Pur comechè Guglielmo tanto avesse avuto a cuore la pace del regno, che conchiuse quel matrimonio in onta ai consigli dei suoi ministri ed alla volontà dì papa Urbano, per non metterla in pericolo, non ischivava la guerra, ove la giustizia e l’onor del regno la rendevano necessaria; e le armi siciliane furono allora da per tutto temute. Un’armata di cencinquanta galee, accompagnata da dugencinquanta legni da carico, espugnò nel 1175 Alessandria e ne trasse ricchissimo bottino. Il castello di Celle, posto sul confine della Puglia, preso d’assalto nel 1176 dall’arcivescovo di Magonza, che comandava l’esercito dell’imperadore Federico, fu da un esercito siciliano ripreso. Tripoli ed Antiochia, stretti da Saladino, sultano d’Egitto, furono dalle armi siciliane nel 1178 liberate. Altre forze mandò in quelle parti re Guglielmo nel 1180, che si unirono a quelle mandate da Riccardo d’Inghilterra e da Filippo di Francia per soccorrere il cadente regno di Gerusalemme. Nello stesso anno o nel seguente una armata siciliana, venuta alle mani colla marocchina, molti di quei legni affondò, molti ne prese, fra’ quali quello, su cui era una figliuola del re di Marocco, che andava a maritarsi con un principe saracino di Spagna; il Marocchino, per riavere la figlia, conchiuse una lunga tregua col re di Sicilia, nè manca chi dica d’avere restituita la città di Mahadia. Aveva allora usurpato il trono di Costantinopoli il feroce Andronico, messo a morte l’imperadore Alessio II, e faceva scorrere a fiumi il sangue dei sudditi e particolarmente de’ Latini; Alessio Comneno, principe del sangue imperiale, fuggito dalla Siria, ove era stato dall’usurpatore esiliato, venne in Sicilia ad implorare il soccorso di Guglielmo.
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