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      La vedova regina Sibilla, come tutrice di lui, pigliò le redini del governo.
      La guerra, che sin’allora era stata condotta con poco vigore per l’età avanzata di Tancredi, venuto il regno in mano d’una donna e d’un pupillo, allentò del tutto. Le provincie oltremare restarono aperte allo Svevo. I baroni, più non rannodati sotto le bandiere di un capo vigoroso, cercarono l’un dopo l’altro d’acconciarsi coll’invasore, il quale, venuto con nuovo esercito in Italia, senza trar la spada s’insignorì di tutta quella provincia; ned ebbe ivi altro tempo a perdere, che quello di devastare e saccheggiare Salerno, per punizione della presura della moglie. Venuto a Reggio, valicò il faro. I Messinesi, sopraffatti dal prepotente esercito e dalle due armate di Genova e di Pisa, che seco menava, gli aprirono le porte. Pronti del pari erano a sottomettersi i Catanesi; ma erano tenuti in soggezione da un corpo di Saracini, che v’era di presidio; a loro richiesta Arrigo vi mandò una mano de’ suoi Alemanni, che ne li cacciarono. Siracusa, che volle resistere, fu espugnata dall’ammiraglio genovese Otone Del Carretto. Avute quelle tre città, si diresse Arrigo a Palermo.
      VIII. - La regina Sibilla, non tenendosi sicura in Palermo, accompagnata dal re Guglielmo III, suo figliuolo, dalla vedova nuora e dalle tre principesse sue figliuole; menando seco l’arcivescovo di Salerno, l’ammiraglio Margaritone e tutti i baroni a lei fidi, venne a chiudersi nel forte castello di Caltabellotta, che provvide di viveri.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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