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      Dopo la sua coronazione, mandò ad offerire alla regina Sibilla, non solo di restituire al figliuolo la contea di Lecce, ch’era il suo patrimonio paterno, ma di concedergli inoltre il principato di Taranto, se di queto rendea Caltabellotta. Nella dura circostanza, in cui quella famiglia era ridotta, ingannata dalla condotta mansueta tenuta fino allora da re Arrigo, accettò il partito e venne in Palermo.
      Il perfido svevo gittò allora la maschera: avuta a se la vedova regina, in tuono minaccevole si diede a rimproverarle l’usurpazione del marito ed ordinò la carcerazione di lei, de’ figli, de’ suoi. Convocato poi il parlamento, vi fece al conte di Celano proporre: che, essendo stata la regina Costanza riconosciuta dal parlamento del regno erede del trono, eran da tenersi felloni coloro che avevano eletto in re il conte di Lecce; lui stesso, che aveva accettato l’offerto regno; la regina vedova, che dopo la sua morte avea fatto coronare il figliuolo; ciò non di manco, il re, perdonando a tutti gli altri, si contentava della carcerazione e punizione della regina Sibilla, di Guglielmo suo figliuolo, delle costui tre sorelle, dell’arcivescovo di Salerno, del fratello di lui vescovo di Trani e di Riccardo conte d’Ajello, figliuolo del ricantato Matteo gran protonotajo e vice-cancelliere del regno. Il parlamento, cogliendo il primo amaro frutto della straniera dominazione, ebbe ad aderire all’iniqua sentenza. Nè meno scandaloso fu il tradimento fatto da lui ai Genovesi. Presa Palermo, chiesero essi la città di Siracusa e le terre loro promesse «Provatemi che siete liberi» rispose egli «e tenuti come vassalli a darmi soccorso, ed io adempirò la promessa.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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