Ciò fatto, venne rassettando tutte quelle città, castella e baronie, che ne’ passati trambusti erano state al demanio usurpate. Passato poi in Messina, vi chiamò il parlamento del regno (312), ed anche ivi leggi furono bandite. Per adempire poi la promessa fatta al pontefice di mandare sollecito soccorso in oriente, levò un balzello del venti per cento sui beni de’ secolari, e del dieci su quelli degli ecclesiastici; e col danaro indi tratto apprestò una armata di sessanta galee, che sotto il comando di Gualtiero della Pagliaia, gran cancelliere, e del grand’ammiraglio Arrigo conte di Malta spedì in soccorso di Damiata, che i cristiani aveano preso ed i musulmani assediavano.
Infelice fu l’esito della spedizione. Per l’imprudente ostinazione del cardinal Pelagio, legato pontificio, e gli errori de’ principi, la città ebbe ad aprir le porte, senza che l’armata siciliana avesse potuto ritardar d’un sol giorno la resa; tanta era l’angustia, cui erano ridotti gli assediati. E fu generosità del vincitore, se ebbero salva la ritirata, prima di restarvi morti di fame e di stento. Dei due comandanti siciliani, il gran cancelliere temendo lo sdegno di Federigo, fuggì a Venezia, ove ivi a poco si morì; il grand’ammiraglio, sicuro della sua innocenza, ritornò coll’armata nel regno; ne riportò dal re imperadore severo rabbuffo; fu imprigionato, spogliato de’ beni; ma per quanto appare, lo sdegno di Federigo non era sincero, nè guari andò che quel conte riebbe i beni e la libertà.
In questo, re Federigo imperadore, cui, più che della incerta e lontana conquista di Gerusalemme, di riordinare il suo regno calea, ogni studio ponea a raccattare quanto a lui era stato usurpato nella minorità. I Genovesi s’erano resi padroni di Siracusa: ciò era stato promesso loro da re Arrigo, che, mancando alla promessa, avea loro negato il possedimento della città; solo avea loro permesso di stabilirvi i loro fondachi ed essere esenti di qualunque peso.
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