Quell’ecclesiastico collirio più presto che ad aprire, era inteso a far chiudere gli occhi di Federigo; ma e’ gli avea già da lung’ora aperti, per sentire altamente di se, conoscere i dritti suoi, volere, sapere e potere difenderli; però era ben lontano di ricorrere alla medicina, che il papa gli offriva. Saputo quel subito procedere di papa Gregorio, a lui spedì gli arcivescovi di Reggio e di Bari, il duca di Spoleto e ’l conte di Malta, per esporgli le sue giustificazioni; ma non poterono costoro scaponire il pontefice, il quale anzi, chiamati quanto vescovi potè, in loro presenza con più solenne apparato iterò la scomunica. Non restava allora a Federico altro partito, che, o stendere il collo al giogo, o combattere; non fu dubbia la scelta.
Per valersi delle armi stesse, colle quali papa Gregorio cercava di sopraffarlo, mentre quello assoldava contro di lui Giovanni già re di Gerusalemme, ed aizzava i baroni di Toscana e di Lombardia, egli avuti a se alcuni dei più potenti fra i baroni romani, li trasse alla sua, e per renderli da lui affatto dipendenti, comprò tutti i beni loro, e poi a loro stessi li concesse in feudo, e così vennero suoi vassalli. Per costoro mezzo un tumulto fu destato in Roma contro il papa, il quale ebbe a rifuggirsi a Perugia (323). Al tempo stesso un manifesto dirigeva a tutti i principi d’Europa per giustificar se e rispondere di rimbecco al papa. In quello diretto ad Errigo III re d’Inghilterra, che lo storico inglese di quell’età Matteo Paris riferisce, dichiara esser menzogna ch’egli per frivoli pretesti avesse sospesa la sua gita in Siria; chiama Dio in testimonio della verità della sua malattia, ed assicura che il più presto che potrebbe, come fosse rimesso in salute, avrebbe ripigliata la santa impresa.
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